Centri storici: più turismo e meno commercio

Quanti cambiamenti nei centri storici italiani. E non sempre in positivo.

Verificare com’è cambiato negli ultimi sette anni, tra il 2008 e il 2015, il panorama commerciale nelle città italiane attraverso lo studio di ciò che è successo a undici categorie di negozi in 39 Comuni italiani di medie dimensioni, dove risiedono circa sette milioni di abitanti ed è attivo il 12% circa del commercio al dettaglio. Era questo l’obiettivo di un’analisi effettuata dall’Ufficio Studi di Confcommercio e presentata nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta a Roma presso la sede nazionale della Confederazione.

I risultati sono estremamente interessanti: se da una parte c’è la conferma del calo complessivo, anche se più marcato rispetto al resto d’Italia, del numero di imprese (-3,2% contro -0,1%), dall’altro si notano differenze marcate tra la varie categorie. Così, se il numero di distributori di carburante è sceso di quasi il 30%, nell’altro senso il commercio ambulante è cresciuto del 43,3% e bar, alberghi e ristoranti del 5%. Ecco, il punto che emerge chiaramente dallo studio è proprio quest’ultimo: nelle medie città i negozi in sede fissa diminuiscono molto più rapidamente che nel resto del Paese (-15% contro -6%), ma in questi contesti urbani c’è un vero e proprio “boom” del commercio ambulante, accoppiato a una crescita rilevante del turistico-ricettivo.

Come ha sottolineato il responsabile dell’Ufficio Studi, Mariano Bella, ciò conferma che “più che quella turistica, l’Italia ha una vocazione produttiva in termini di ricettività e consumi fuori casa“. Se si approfondisce poi ciò che succede nei centri storici, si scopre che è più marcata la diminuzione delle attività di commercio al dettaglio in sede fissa (-9,1% contro il -5,7% fuori dal centro), prova provata della desertificazione commerciale in atto visto che nei centri delle nostre città di media dimensione non possono forzatamente esistere, per mancanza di spazio, le grandi superfici. E qui, di nuovo, si scopre un impatto fortissimo, praticamente di supplenza, del commercio ambulante, cresciuto di addirittura il 73,2% nel “cuore” delle città contro il pur rilevante +37,7% delle zone esterne. Allo stesso tempo, di nuovo, al centro c’è un aumento di alberghi, bar e ristoranti del 10% (il +3% fuori), ciò che potrebbe suggerire il rischio che le zone più centrali si trasformino sempre più in “museo”.

Ultimo dato interessante è quello del numero di abitanti per negozio: se a Trento sono quasi 150 e se la media nazionale è di 90, a Lecceil dato scende a 50. Per Bella, questo può significare per il Sud la prospettiva di una ulteriore diminuzione del numero di attività commerciali. Ma allo stesso tempo, per il Mezzogiorno, fa ben sperare il ripopolamento di alberghi, bar e ristoranti nei centri storici, a conferma di una vocazione sempre più accentuata per ricettività e consumi fuori casa.

Il presidente Carlo Sangalli ha commentato i dati dell’indagine dell’Ufficio Studi Confcommercio su come sono cambiati dal 2008 al 2015 i centri storici dei principali Comuni italiani. Secondo il presidente emergono due fenomeni: negli ultimi 7 anni nei centri storici è cresciuto il comparto turistico ricettivo ma allo stesso tempo c’è stata una forte riduzione dei negozi tradizionali solo in parte compensato dalla crescita del commercio ambulante. “Siamo di fronte – ha osservato Sangalli – ad un vero e proprio rischio di desertificazione dei centri storici e quindi occorre migliorare i processi di pianificazione urbanistica e governance delle realtà cittadine“. “Ma soprattutto – ha aggiunto il presidente di Confcommercio – la nostra proposta è quella di introdurre la cedolare secca sulle locazioni commerciali per calmierare il prezzo degli affitti“. “Insomma – ha concluso Sangalli – bisogna mettere in condizione i centri storici di produrre ricchezza”.

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