Rapporti lavorativi tra parenti e/o affini: attenzione ai controlli

Come definire la natura del rapporto

Saltuariamente, in  occasione di accessi ispettivi o di controlli mirati (provocati dal godimento di prestazioni assistenziali, quali disoccupazione, maternità ecc…) accade che l’INPS, disconosca i rapporti lavorativi subordinati instaurati con dipendenti parenti entro il terzo grado (padre-figlio, nonno-nipote, fra fratelli, zio-nipote) e affini entro il secondo grado (genero-suocera, cognati) del datore di lavoro.

Non sempre è agevole definire la natura del rapporto di lavoro tra familiari, così che una prestazione definita a titolo gratuito può essere riqualificata come onerosa per il datore di lavoro o, viceversa.

I rapporti lavorativi fra coniugi, parenti entro il terzo grado o affini entro il secondo grado, possono configurare:

ü      un rapporto di lavoro subordinato, soggetto all’assicurazione generale obbligatoria;

ü      un rapporto di collaborazione nell’ambito dell’impresa familiare, soggetto all’assicurazione obbligatoria nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi;

ü      un rapporto di collaborazione familiare privo di tutela previdenziale per mancanza delle condizioni  assicurabili nelle assicurazioni obbligatorie.

Per quanto riguarda il rapporto di lavoro subordinato svolto nell’impresa, dall’orientamento giurisprudenziale si ricava che:

“nel caso di prestazioni lavorative rese fra persone conviventi legate da vincolo di parentela o di affinità, le prestazioni stesse si presumono gratuite e non ricollegabili a un rapporto di lavoro. Tale presunzione può essere vinta dalla dimostrazione, incombente alla parte che sostiene l’esistenza di un rapporto di lavoro, dei requisiti della subordinazione e dell’onerosità delle rispettive prestazioni, ma deve trattarsi di prova precisa e rigorosa non evincibile dalla sola circostanza che le attività in questione anziché svolgersi nello stretto ambito della vita familiare e comune, attengano all’esercizio di un’impresa, qualora questa sia gestita ed organizzata con criteri prevalentemente familiari, di per sé soli non compatibili con l’entità economica dell’intrapresa e con le sue empiriche variabili strutturali ed organizzative.” (Cassazione sentenza n. 1880/1980);

“la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative rese fra persone legate da vincoli di parentela – per il superamento della quale è necessaria la prova precisa e rigorosa dell’onerosità delle prestazioni stesse –  sussiste anche nel caso di attività lavorativa eseguita nell’ambito di un’impresa, qualora questa sia gestita ed organizzata, strutturalmente ed economicamente, con criteri prevalentemente familiari, e non quando l’impresa abbia notevoli dimensioni e per quanto condotta da familiari sia amministrata con criteri rigidamente imprenditoriali.” (Cassazione sentenza n. 2660/1984);

“nel caso in cui i soggetti del rapporto di lavoro siano conviventi le relazioni di affetti familiari di parentela e di interessi tra essi esistenti giustifica la presunzione di gratuità, mentre, nell’ipotesi di soggetti non conviventi sotto lo stesso tetto, ma appartenenti a nuclei familiari distinti e autonomi, tale presunzione cede il passo a quello di normale onerosità del rapporto superabile con la dimostrata sussistenza di sicuri elementi contrari.” (Cassazione sentenza n. 3287/1986).

I criteri ricavabili dalle riportate pronunce giurisprudenziali trovano principale applicazione nei rapporti instaurati nell’ambito delle imprese individuali, società di persone e studi professionali.

Minore applicazione possono avere nei confronti delle società di capitali, in quanto la figura del datore di lavoro si identifica nella società e non nella persona degli amministratori.

Non sono applicabili alle imprese familiari, nelle quali non è ravvisabile il requisito della subordinazione.

Rapporto di lavoro nell’ambito di imprese individuali, società di persone e studi professionali

Nei casi in cui i soggetti del rapporto denunciato da imprese individuali o studi professionali siano coniugi, parenti entro il 3° grado e affini entro il 2° grado conviventi del datore di lavoro, il rapporto si presume gratuito e quindi escluso dall’obbligo assicurativo, senza necessità di accertamenti da parte dell’INPS, se le parti non forniscono prove “rigorose”, cioè non soltanto formali ma convincenti nel loro complesso, dell’onerosità del rapporto stesso e della sua natura subordinata.

A riguardo, infatti, la Cassazione (sentenza n. 9043/2011) ha precisato che: “Il rapporto di lavoro subordinato tra familiari va dimostrato in maniera rigorosa, nel senso che la presenza di versamenti contributivi non è sufficiente a configurare il rapporto come subordinato, perché è necessaria una rigorosa prova degli elementi costitutivi e di svolgimento del rapporto di lavoro subordinato.”

Qualora non sussista convivenza né comunione d’interessi, il rapporto si presume oneroso e quindi soggetto all’obbligo assicurativo, salva la facoltà dell’INPS di procedere ad accertamenti.

Nei casi di vincoli di coniugio, parentela entro il 3° grado o di affinità entro il 2° grado e di convivenza tra il lavoratore dipendente e uno dei soci di società di fatto o di persone, l’elemento della subordinazione non può essere escluso nei confronti degli altri soci. Occorre, pertanto, conoscere l’apporto di capitali dei vari soci per stabilire se il socio legato al lavoratore dai predetti vincoli familiari, risulti socio di maggioranza ovvero amministratore unico della società. In caso affermativo il rapporto di lavoro, ancorché intercorso con la società, può ritenersi prestato a titolo gratuito e, quindi, non assicurabile.

Dipendenti da società di capitali

Per i lavoratori legati da vincoli di coniugio, parentela o affinità con soci amministratori ovvero soci di maggioranza di società di capitali, in via generale il rapporto di lavoro può essere convalidato in quanto il rapporto stesso intercorre con le società e non con i singoli soci.

È peraltro necessario verificare il concreto assetto della società al fine di accertare se nel caso di specie sussistano le condizioni per il riconoscimento di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato (ad esempio, in caso di due soli soci, entrambi parenti conviventi o se il parente convivente del lavoratore sia titolare di tutti i poteri sociali o abbia la maggioranza delle azioni e delle quote sociali, il rapporto, ancorché intercorso con la società, non è convalidabile).

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