Jobs act, incostituzionale il criterio di indennizzo per il licenziamento ingiustificato.

Incostituzionale l’indennità “fissa” per i licenziamento

Secondo la Corte, “la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio” è contraria ai principi di ragionevolezza e uguaglianza.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 194 deposita l’8 novembre 2018, ha dichiarato incostituzionale l’art. 3, comma 1, del D.Lgs. n.23/2015 (c.d. Jobs Act), che disciplina il “contratto a tutele crescenti”, modificato dal D.L. n.87/2018 (c.d. Decreto Dignità). Quest’ultimo è intervenuto innalzando le misure minime (da 4 a 6 mesi) e massime (da 24 a 36) delle indennità risarcitorie.

Nella sentenza si evidenzia che il criterio di determinazione dell’indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato basato solo sull’anzianità di servizio, “rende infatti l’indennità “rigida” e “uniforme” per tutti i lavoratori con la stessa anzianità, così da farle assumere i connotati di una liquidazione “forfetizzata e standardizzata” del danno derivante al lavoratore”.

Pertanto, il giudice, nell’esercitare la propria discrezionalità nel rispetto dei limiti, minimo e massimo, dovrà tener conto non solo dell’anzianità di servizio, “ma anche degli altri criteri “desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti)”. Infatti, ”la disposizione dichiarata incostituzionale contrasta anzitutto con il principio di eguaglianza, sotto il profilo dell’ingiustificata omologazione di situazioni diverse, in quanto il pregiudizio prodotto dal licenziamento ingiustificato dipende da una pluralità di fattori – l’anzianità nel lavoro, certamente rilevante, è solo uno dei tanti –“.

Si legge ancora nella sentenza: “La tutela risarcitoria prevista dalla disposizione denunciata si discosta però, da questa impostazione perché ancora l’indennità all’unico parametro dell’anzianità di servizio. Così facendo, finisce col prevedere una misura risarcitoria uniforme, indipendente dalle peculiarità e dalla diversità delle vicende dei licenziamenti intimati dal datore di lavoro, venendo meno all’esigenza di personalizzazione del danno subito dal lavoratore, anch’essa imposta dal principio di eguaglianza”.

L’articolo 3 contrasta anche “con il principio di ragionevolezza, sotto il profilo dell’inidoneità dell’indennità a costituire un adeguato ristoro del concreto pregiudizio subito dal lavoratore a causa del licenziamento illegittimo e un’adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare illegittimamente”.

 

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