Decreto Dignità: modifiche alla conciliazione per licenziamento

Conciliazione per il licenziamento: le modifiche

Il cd. Decreto Dignità ha inciso in modo rilevante sull’entità dell’indennità risarcitoria che il datore di lavoro soccombente dovrà erogare al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo.

In via generale, l’importo dell’indennità continua a essere sottratto alla discrezionalità del giudice perché (per le imprese che impiegano più di 15 dipendenti) si calcola in 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR del dipendente per ogni anno di servizio, ma si passa da un minimo di 4 e massimo di 24 mensilità a un minimo di 6 e massimo di 36 mensilità. Il minimo previsto si applica anche a coloro che abbiano prestato la propria attività lavorativa per meno di 3 anni.

Rimangono esclusi i casi di reintegra del lavoratore licenziato disciplinarmente quando il fatto stato ritenuto insussistente; i licenziamenti dichiarati nulli, discriminatori o intimati in forma orale.

La legge ha modificato, proporzionalmente, anche gli importi della cd. offerta di conciliazione. L’articolo 6 del D.Lgs. 23/2015 prevede infatti che il datore di lavoro possa offrire al lavoratore che impugna il licenziamento una somma predeterminata, in modo da risolvere la controversia al di fuori delle sedi giudiziali. L’accettazione dell’assegno circolare da parte del lavoratore continuerà in ogni caso a comportare: l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento; la rinuncia all’impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta; il diritto per il lavoratore alla indennità di disoccupazione (NASpI), qualora ve ne siano i presupposti contributivi.

Le modifiche normative si applicano ai lavoratori in cd. tutela crescente, cioè a coloro:

  • assunti dal 7 marzo 2015, oppure
  • il cui rapporto di lavoro a tempo determinato è stato trasformato in tempo indeterminato dal 7 marzo 2015, oppure
  • che hanno ottenuto la qualifica da un rapporto di apprendistato dal 7 marzo 2015.

Tali novità risultano incrementare la misura degli importi a maggior garanzia del lavoratore.

OFFERTA DI CONCILIAZIONE

Con tale istituto è data facoltà al lavoratore, assunto successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs n. 23/2015, di attivare un’apposita procedura davanti alle sedi abilitate a convalidare le rinunce e le transazioni in materia di lavoro, ossia le Direzioni Territoriali del Lavoro, le sedi sindacali e le commissioni di certificazione.

Si sottolinea come tale facoltà rimanga esperibile esclusivamente fino a quando non sia scaduto il termine per impugnare in via stragiudiziale il licenziamento (60 giorni).

In caso di ricorso alla conciliazione, a decorrere dal 14 luglio 2018, al lavoratore sarà riconosciuta una somma pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio con un limite minimo di 3 mensilità ed uno massimo di 27 (inferiore a 1,5 e superiore a 6 per aziende sotto i 15 dipendenti).

Preme evidenziare come l’accettazione da parte del prestatore di lavoro dell’offerta conciliativa:

  • potrà essere perfezionata solo in caso di dazione da parte del datore di lavoro della somma prevista a mezzo di assegno circolare;
  • comporterà automaticamente l’impossibilità per il lavoratore di procedere giudizialmente nei confronti del datore di lavoro in merito all’illegittimità del provvedimento espulsivo.

Alla luce di quanto fin qui chiarito, si evidenzia come la preclusione per il lavoratore di procedere giudizialmente dovrà considerarsi circoscritta al licenziamento, lasciando sempre libera la procedibilità relativamente a mancate retribuzioni e, più in generale, a violazioni legate allo svolgimento del rapporto di lavoro precedenti alla conclusione dello stesso.

Tale ultima considerazione si ritiene, tuttavia, non escludere la possibilità di conciliare anche aspetti diversi dal provvedimento espulsivo nel medesimo verbale, ferma restando la necessità di tenere ben distinti i diversi oggetti dell’accordo e le somme corrisposte.

IL SISTEMA TRIPARTITO DI CONCILIAZIONE

Fermo restando il contributo innovatore in ambito all’istituto della conciliazione ad opera del “Jobs Act”, lo stesso è divenuto uno strumento volto a concludere, prima del percorso giudiziale, l’eventuale contestazione relativa all’illegittimità del licenziamento.

Si ricorda come tale previsione abbia come chiaro fine la deflazione del contenzioso, posto che si prefigge l’obiettivo di garantire un indennizzo economico a favore del lavoratore che si avvicina a quello che riceverebbe all’esito del giudizio.

In conclusione si evidenzia come, da un lato, in ragione del regime differenziato di applicazione delle disposizioni relative al “Jobs Act” (c.d. “doppio binario”) innovato dalla Legge n. 96/2018 e, dall’altro, in ragione dell’istituto conciliativo volontario previsto dal D.Lgs n. 23/2015, ad oggi l’ordinamento vede coesistere tre diverse tipologie di conciliazione:

  • conciliazione obbligatoria;
  • conciliazione volontaria;
  • opting out unilaterale.

 

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