Ape – anticipo finanziario a garanzia pensionistica

L’ Ape, la misura prevista dalla Legge di Stabilità 2016 che dovrebbe consentire di anticipare la pensione, non è diventata operativa dal primo maggio come previsto. E’ stato comunque dichiarato dal Governo che verrà prevista una retrodatazione dell’erogazione dell’anticipo pensionistico al 1° maggio, data prevista dalla Legge di Bilancio, indipendentemente dalla data in cui le domande potranno essere presentate, una volta concluso l’iter attuativo.

Per l’ Ape sociale, quella destinata ad alcune categorie di lavoratori (usuranti, disoccupati, disabili ecc.) si attende un decreto del Governo. Visti i tempi tecnici  si ritiene che il provvedimento dovrà poi ricevere il via libera della Corte dei Conti prima di essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale.

Per l’Ape volontaria, invece, il ritardo sembra avere una durata ancora più indefinita. Per poter emanare il decreto attuativo l’esecutivo deve prima stabilire i criteri di accesso alla richiesta, quindi accordarsi con banche e sistema creditizio sulle condizioni del prestito.

La mancata attuazione dell’Ape volontaria blocca un altro dei provvedimenti previdenziali varati (sulla carta) con la Stabilità 2016: la Rita ovvero la Rendita integrativa temporanea anticipata, quello che maggiormente dovrebbe interessare la categoria. Quest’ultimo prevede che, utilizzando il capitale accumulato con il secondo pilastro pensionistico, si possa uscire dal lavoro a 63 anni. Pur non essendo necessario un decreto governativo ad hoc, la misura è subordinata all’attuazione dell’Ape volontaria, come precisato recentemente anche dall’Inps.

L’Anticipo finanziario a garanzia pensionistica, è una formula che sarà introdotta in via sperimentale fino al 31 dicembre 2018. Il provvedimento consentirà alle classi di lavoratori nati tra il 1951 e il 1953 di lasciare il lavoro 3 anni e 7 mesi prima rispetto alla Riforma Fornero, con un taglio dell’assegno che può variare dal 5% al 15% in funzione della pensione e della durata dell’anticipo.

In sostanza, si tratta di un prestito erogato dalle banche e dalle assicurazioni, attraverso l’Inps, assicurando per un periodo massimo di 3 anni e 7 mesi (e minimo di 6 mesi), un assegno mensile di importo pari alla pensione maturata. Una volta finito il periodo di anticipo e di prestito e raggiunta l’età per avere effettivamente la pensione, il prestito finirà e inizieremo a raccogliere il frutto effettivo dei nostri contributi.

Il problema, però, sarà che, visto che l’Ape era un prestito, dovremo cominciare a restituirlo, con un piano ventennale. Contestualmente al prestito, chi chiede una Ape dovrà anche attivare un’assicurazione contro il cosiddetto “rischio di premorienza”, così da evitare che, in caso di morte, le banche creditrici dei soldi della Ape si rivalgano sugli eredi.

Lo sconto sugli anni di lavoro può essere richiesto da chi abbia almeno 63 anni di età, non sia più lontano dalla pensione di 3 anni e 7 mesi, abbia almeno 20 anni di contributi (così da aver maturato un importo di pensione lordo non inferiore a circa 701 euro al mese), non sia già titolare di un trattamento pensionistico diretto.

Anche chi aspetta la pensione sociale può chiedere un anticipo sulla pensione, il cosiddetto Ape sociale. Questo è, a tutti gli effetti, una pensione anticipata, perché consiste in un assegno mensile che si riceve prima di aver effettivamente maturato la pensione. A differenza dell’Ape volontario, quello sociale è a carico dello Stato e quindi non va restituito. Oltre a questo, va detto che chi riceve l’Ape sociale (i cui assegni non potranno in alcun caso essere superiori a 1.500 euro al mese) può cumularlo con piccoli redditi da lavoro, purché questi non superino gli 8.000 euro annui (se lavoro parasubordinato) oppure i 4.800 euro annui (se si tratta di lavoro autonomo).

 

L’Ape sociale può essere richiesto da chi si trova senza lavoro (sia che si tratti di licenziamento, dimissioni per giusta causa o di risoluzione consensuale), abbia cessato di usufruire della prestazione per disoccupazione da almeno 3 mesi, assiste da almeno 6 mesi un familiare con handicap grave (coniuge oppure parente di primo grado convivente), abbia una riduzione della capacità lavorativa pari ad almeno il 74%, accertata dalle Commissioni Asl per il riconoscimento dell’invalidità civile.

Anche il datore di lavoro può fare ricorso all’Ape. Nel caso in cui si voglia anticipare il pensionamento di un proprio dipendente e agevolarne l’uscita, può essere l’impresa stessa a decidere di farsi carico dei costi dell’Ape volontario, attraverso un versamento all’Inps di una contribuzione che sia legata alla retribuzione percepita dal lavoratore prima della cessazione del rapporto di lavoro.

 

Nel caso invece non si possiedano i requisiti necessari per il prepensionamento, i lavoratori dipendenti in prossimità dell’età pensionabile possono trasformare il rapporto di lavoro da full-time a part-time.

La possibilità è riservata ai dipendenti delle aziende private, purché sussistano alcuni requisiti, il lavoratore deve aver stipulato un contratto a tempo indeterminato e orario pieno, deve essere in possesso dei requisiti minimi per accedere alla pensione di vecchiaia (20 anni di contributi, entro il 31 dicembre 2018), deve lavorare ancora tre anni prima della pensione, secondo la normativa in vigore.

In pratica, il dipendente stipula un contratto a tempo parziale, con una riduzione tra il 40 e il 60% rispetto all’orario pieno. Anche se lo stipendio viene decurtato, i contributi vengono versati e calcolati sulla base della retribuzione piena. La futura pensione, perciò, non subisce variazioni, perché è lo Stato che copre i contributi figurativi.

La richiesta è soggetta ad accettazione. Purtroppo, infatti, anche se si hanno tutti i requisiti, le risorse messe a disposizione dalla Legge di stabilità sono limitate. Sono stati stanziati 60 milioni di euro per il 2016, 120 milioni nel 2017 e 60 milioni nel 2018, una volta finiti questi fondi, l’Inps dovrà dire di no.

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